Essere madre oggi significa anche fare i conti col portafoglio
Fare la spesa, pagare l’affitto, scegliere se comprare le scarpe nuove al figlio o rinnovare il proprio abbonamento ai mezzi pubblici.
La maternità nel 2025 ha un prezzo altissimo, e le donne lo pagano ogni giorno sulla propria pelle.
Inflazione, aumento dei beni primari, affitti fuori controllo: la quotidianità delle madri racconta una precarietà costante.
Chi cresce un figlio senza una rete solida — senza un partner, senza genitori vicini, senza bonus statali affidabili — conosce bene quel groppo in gola che si stringe a fine mese.
Nel frattempo, la retorica politica continua a parlare di “incentivi alla natalità” senza nominare servizi pubblici assenti, asili nido insufficienti, congedi inadeguati, stipendi ridicoli.
Essere madri non è una missione. È un lavoro. E come ogni lavoro, ha bisogno di tutele, diritti, dignità.
La maternità precaria svuota la libertà di scelta
Molte donne non diventano madri per scelta. Ma tante altre non lo diventano per mancanza di prospettive.
La paura di non farcela, di restare senza un reddito stabile, di perdere il lavoro al primo test di gravidanza positivo.
Chi ha figli, spesso si reinventa: freelance, partite IVA, lavori serali, turni spezzati.
Tutto per incastrare una realtà che non ha previsto il tempo della cura, come se la maternità non riguardasse l’intera società.
E allora ci si alza prima dell’alba, si lavora con un neonato attaccato al seno, si corre tra mensa e riunioni con lo zaino di Spider-Man sulle spalle.
Non per eroismo, ma per sopravvivenza.

Lo Stato non può più restare spettatore
I governi celebrano la famiglia con slogan e tweet.
Ma nessuno costruisce politiche strutturate che mettano davvero al centro la maternità.
Servono investimenti veri. Servono leggi che proteggano chi sceglie di crescere un figlio senza dover sacrificare la propria autonomia.
Bisogna aumentare i fondi per gli asili nido pubblici, riconoscere congedi parentali equi per entrambi i genitori, garantire sostegno economico concreto alle madri single o disoccupate.
Non basta parlare di “denatalità” nei convegni. Serve ascoltare chi ogni giorno affronta il peso invisibile della maternità precaria.
Le madri non vogliono premi. Vogliono strumenti per vivere.