Ragazzi con smartphone ph fp

Scrivere a mano resta un’arte da difendere con coraggio

Smartphone, tablet e piattaforme come WhatsApp, Instagram e X occupano ormai ogni angolo della quotidianità. La società digitale avanza e lascia indietro una delle abilità più antiche e significative della nostra civiltà: la scrittura a mano.
La Generazione Z, cresciuta tra schermi e notifiche, si allontana sempre più dalla carta, trascurando un’arte millenaria che da oltre 5.500 anni consente all’umanità di tramandare storie, cultura e saperi.

Uno studio recente rivela che circa il 40% dei ragazzi della Generazione Z mostra serie difficoltà nello scrivere a mano. Al posto di penne e quaderni, preferiscono tastiere luminose e display touch. Ma digitare non equivale a scrivere: lo affermano numerosi esperti che evidenziano come la scrittura a mano attivi aree cerebrali legate alla memoria, alla comprensione e al pensiero critico.

Questa pratica non si limita a tracciare lettere: allena la mente, affina la concentrazione e migliora la coordinazione motoria fine. Tutti elementi che favoriscono un apprendimento profondo, e che i dispositivi digitali non riescono a stimolare con la stessa intensità.

Nel vortice dei messaggi vocali, delle abbreviazioni e degli emoji, la comunicazione si è trasformata in uno scambio veloce e frammentato. Le frasi si accorciano, le emozioni si traducono in simboli, il dialogo si svuota. I social come WhatsApp, Instagram e X alimentano questa tendenza, riducendo la scrittura a semplici impulsi rapidi e superficiali.

Molti giovani, oggi, faticano a esprimersi con completezza, fatica e profondità, anche nei rapporti umani diretti. Le parole restano chiuse dentro, perché mancano gli strumenti per farle uscire con chiarezza e autenticità.

Eppure, non tutto è perduto. Insegnanti, genitori e istituzioni culturali possono rilanciare l’importanza della scrittura a mano come atto di resistenza e consapevolezza. Scrivere a mano significa rallentare, pensare, dare forma al pensiero. Significa allenare la mente, costruire connessioni, lasciare tracce che nessun algoritmo può cancellare.

La sfida non riguarda soltanto la memoria storica o il romanticismo del passato, ma il futuro stesso della nostra capacità di comprendere, raccontare e immaginare.

A cura di Veronica Aceti

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